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15 gen 2005EDITORIA: AVERE “PALLE”Lettera aperta al Presidente della FUSIE De Sossi

(Italia Estera) - Maria Margherita Peracchino Direttore dell’Agenzia
News ITALIA PRESS ha inviato anche a noi
questa lettera aperta indirizzata al presidente della Fusie il collega Domenico De Sossi (nella foto) in vista del Congresso di Catania.
Noi non solo la facciamo nostra perché la
condividiamo in tutti i punti, ma perché nei mesi
scorsi, raccogliendo l’invito del Ministro Tremaglia
che in una conferenza stampa disse “riunitevi fra voi”
cercammo di raccogliere intorno ad un tavolo le
“sette sorelle” per poter organizzare un’azione comune,
visto il silenzio colpevole della FUSIE.
Il nostro tentativo non solo andò a vuoto, ma addirittura
fummo scalzati da un segretario preoccupato di difendere
gli interessi della sua agenzia in cui è il direttore responsabile.
Altrimenti che direttore sarebbe?

Giuseppe Maria Pisani


Povere noi, testate dell’italianità nel mondo! in questa Repubblica allegra e sguaiata dove i comunicati di un Ministro dello Stato vengono diramati da una testata collega del Nord Europa e i comunicati della tua Associazione di categoria ti arrivano da una agenzia concorrente.

Povere noi, agenzie stampa dell’italianità nel mondo! che ci dobbiamo fare la straclassica guerra tra poveri per dividerci un “bottino” ministeriale di poco più di 400.000 euro anno, e lo dobbiamo pure difendere con i denti dalle pasciute agenzie nazionali che già pascolano tra Largo Chigi e Palazzo Montecitorio e dai vari “furbi” di questo mondo che anziché la moltiplicazione dei pani fanno quella dei redattori….e il miracolo riesce tra l’ignavia generale.

Povere povere noi, testate dell’italianità nel mondo! che abbiamo una commissione CGIE preoccupata per la messa a rischio del pluralismo informativo ed è talmente preoccupata che dopo essersi detta gravemente preoccupata, preoccupatamene, piglia e torna a casa.

Povere noi, testate dell’italianità nel mondo! noi che abbiamo (ma quanti di noi lo sanno?) una S.r.l. (leggi: società di capitali) che funge da agenzia di raccolta di pubblicità istituzionale, costola della nostra Associazione di categoria, tanto costola che il socio di maggioranza è il Presidente dell’Associazione stessa e quello di minoranza il patron di una delle maggiori agenzie delle 7 sorelle e Segretario Generale della FUSIE.

Povere noi, testate dell’italianità nel mondo! che ci sediamo al tavolo della contrattazione e abbiamo una Associazione talmente forte che anziché sperare nelle “palle” dei nostri rappresentati dobbiamo sperare nell’onestà intellettuale della nostra controparte.

Povere noi!.... un piffero!! ventri molli privi di fegato, per non parlare di robe quali dignità, severità morale, onestà intellettuale, sana cultura d’impresa.

Catania ci ospiterà e faremo una gran scorpacciata di arancini, forse ci faranno anche fare il giro turistico della città, e sicuramente ci saranno i soliti divanetti, di uno dei soliti alberghi, dove noi, soliti piccoli editori e giornalisti di serie ‘C’, faremo crocchio con l’illusione di essere molto importanti e stare lì decidendo i destini dell’editoria mondiale, dopo aver ascoltato, naturalmente, i soliti tromboni istituzionali che ci avranno detto quanto siamo importanti, noi, testate dell’italianità nel mondo, per la crescita delle comunità italiane ovunque disperse.


Svegliamoci: noi non facciamo opinione
Caro Presidente De Sossi, forse ci sta sfuggendo un piccolo particolare: che da mò le nostre comunità stanno crescendo infischiandosene allegramente di noi, anzi, la gran parte (le seconde generazioni e non solo loro) manco sa che esistiamo.

Smettiamola di raccontarci balle: noi non facciamo opinione. Oh si! noi agenzie finiamo sulle scrivanie dei membri CGIE (che ci leggono, in gran parte, solo per sapere cosa, oggi, il Collega ha detto di cattivo nei loro confronti); noi agenzie e giornali siamo leggicchiati dai Comites, da due Ministeri e certo da un Ministro solo, da qualche Assessorato regionale, dai Patronati e dalle Associazioni, e all’estero arriviamo anche nelle case di qualche vecchio emigrato che ha nostalgia per la Sua patria o vuole sapere che fine farà la sua pensione. E poi? poi niente.

Sai cosa mi dice il mio rappresentante negli Stati Uniti? “NIAF, OSIA ecc… tutta gente che non parla italiano, non può leggervi, parlate solo italiano!” E allora? E allora ha ragione il mio amico Vincenzo Marra: dobbiamo correre a più non posso per promuovere la lingua italiana. E Vincenzo si sta spaccando la schiena, con il libretto degli assegni tra i denti. Ma non basta promuovere l’italiano e fare in modo che i nostri media parlino anche inglese, piuttosto che spagnolo o portoghese. Se non facciamo opinione, se siamo trasparenti è perché il nostro prodotto è vecchio, superato, e non solo certo per la lingua che parla.

Smettiamola di far finta di non sapere che è così: ho passato gli ultimi anni a sentire i Colleghi editori pronosticare dieci anni di vita per la stampa italiana all’estero, perché finita questa generazione di lettori finiranno di esistere anche le testate. Cristo santo, ma quando si è mai visto un imprenditore rendersi conto che il suo prodotto e il suo mercato stanno poco a poco spegnendosi e invece di sputare sangue per reinventare il prodotto e cercare nuovi mercati supino si adagia nell’attesa che il destino faccia il resto?!

Il destino delle nostre testate non lo scrive nessun altro che noi, siamo noi che le faremo morire o vivere. Addirittura i partiti, a meno di 18 mesi dalle prime elezioni con il voto in loco degli italiani all’estero (4 milioni di voti e 18 parlamentari), non si sono ancora bene resi conto che esistiamo. Ce lo meritiamo! Perché se siamo trasparenti ai più, se non facciamo opinione, è solo colpa nostra, siamo noi e non altri che abbiamo deciso che non ci resta che crepare.


Questione di “sordi” o di “palle”?
Sento già i cori di molti colleghi: “Per fare opinione ci vuole la potenza di fuoco, e per avere la potenza di fuoco ci vogliono ‘i danè’, e qui ‘li sordi’ non ci sono!”. No, cari amici, per vivere e fare opinione ci vogliono le palle, poi arriveranno i soldi. Mi spiego.

Avere “palle” in questo caso significa avere il coraggio di abbandonare la mentalità assistenzialistica che ci obbliga, inevitabilmente, essere organici alle istituzioni, significa avere cultura d’impresa per le nostre editrici, anziché quella del piagnisteo e della furberia all’italiana, significa fare il salto di mentalità dal dilettantismo al professionismo, significa avere cose da dire, significa avere indipendenza e onestà intellettuale per fare giornalismo professionale, significa avere il coraggio di toglierci la muffa di dosso, rinnovarci.

Avere “palle” significa avere il coraggio e la voglia di mettersi in gioco per denunciare e per fare tutto quanto ci è possibile per correggere le storture di questo sistema editoriale, storture che noi abbiamo causato.

Avere “palle” significa anche avere il coraggio di chiudere con la teoria che per decenni abbiamo cercato di spacciare: quella di essere servizio pubblico e che per tanto lo Stato italiano è tenuto a riempire le nostre casse e farci vivere. E’ la teoria che ci ha fatti andare in giro con il cappello in mano, che ci ha umiliati da imprenditori a straccioni, che ha umiliato le nostre Redazioni, che ci ha fatto scordare che cos’è il giornalismo vero, che ci ha fatto perdere identità e dignità, ci ha fatto scordare che noi abbiamo un solo padrone, il lettore, e che esistiamo al solo scopo di servirlo nel diritto cruciale ad essere informato, che ci ha fatto perdere il nostro unico patrimonio, i nostri prodotti, che, infine, ci ha ridotti a credere sinceramente e fermamente che passata questa generazione di lettori (per i quali noi saremmo servizio pubblico) passeranno a miglior vita anche le nostre testate.

E’ una teoria che hanno abbracciato subito e in modo very strong anche coloro che in questo settore sono arrivati per ultimi e che pure provenivano dal mercato. La capacità devastante di questa teoria è sotto i nostri occhi, abbiamo creato dei mostri: “furbi” che fanno la moltiplicazione dei redattori allo scopo di accaparrarsi qualche soldarello pubblico in più, notiziari fatti di 4 comunicati stampa in croce la cui miseria è pari solo allo splendore delle testate madri dalle quali derivano, realizzati al solo scopo di grattare in fondo al barile della Presidenza del Consiglio qualche fondo che altrimenti non si sarebbe portato in cassa. E’ la teoria, amici miei, che non siamo mai riusciti a far bere a nessuno, e che ora ci fa vittime di noi stessi.

Avere “palle” è la via obbligata. Solo così potremo acquistare la fiducia dei lettori, e dunque acquistare lettori. E acquistare lettori significa acquistare mercato, e a quel punto arriveranno i quattrini.
E’ certo un percorso travagliato, ma l’unico che abbiamo davanti a noi. Se continuate a fare veline, a sprecare tempo a voler far credere di essere servizio pubblico, ‘li sordi’ diminuiranno ogni anno sempre di più, visto che, appurato che non siamo un servizio pubblico, appurato che non facciamo opinione, solo all’elemosina possiamo accedere, che è sempre pelosa e non dura in eterno.

L’alternativa all’aver “palle” non c’è, o meglio, la sola alternativa è credere di non avere alternative al miserabile destino di morte che altri per voi hanno scritto, insomma crepare. Ora, se volete crepare, crepate pure, ma smettetela di accusare qualcun altro della vostra morte, e possibilmente crepate in fretta, perché quelli che come me non vogliono crepare hanno il sacro santo diritto di difendersi dai “furbi”, dai cretini e dai cadaveri -che solo apparentemente sono ancora viventi- che inquinano le acque nelle quali noi ci si va ad abbeverare.

Tu, Presidente De Sossi, mi dirai: cosa c’entra la FUSIE? C’entra, perché solo una Associazione forte, credibile, che dimostri con i fatti, ovvero da come è strutturata e da come agisce, che siamo imprese, imprese vere, e non strutture sotto tutela, può aiutare le testate a vivere il traghettamento dalla condizione di larva a crisalide. E oggi la FUSIE, diciamocelo, non è questa, piuttosto è la degna rappresentante di strutture che poco hanno a che fare con l’impresa, gestita da un club di amici che sanno perfettamente di rappresentare solo se stessi -tanto che FUSIE non ha più nemmeno fatto l’annuale tesseramento.


Una parolina all’orecchio delle imprese, del Ministro e dei teorici
Certo saremmo facilitati nel fare opinione e andare sul mercato se in questo traghettamento potessimo contare su di un sostegno.

Così, una parolina all’orecchio la dobbiamo pur dire a quelli che io chiamo i “capi-bastone”. Sono i facoltosi membri delle nostre comunità all’estero, quelli che pigliano migliaia di voti e finiscono al CGIE e hanno tante belle parole per la comunità e sono a capo di un mucchio di associazioni, quelli che hanno Fondazioni in onore dei loro avi partiti poveri dall’Italia e che nel nuovo Paese hanno fatto fortuna, quelli che ora hanno aggiunto uno scalpo alla loro collezione entrando ai vertici della Confederazione degli Imprenditori Italiani nel Mondo, gente che si sbraca a parlare molto bene della stampa, ma poi quando si tratta di investire un dollaro di pubblicità gira gli occhi altrove.

Io ho fatto la prova in Brasile e in Argentina. Tre grandi imprenditori (vi lascio indovinare chi) uno dei tre all’interno del CGIE, uno, brasiliano, in odore di candidatura alle prossime politiche, il terzo lo trascuro per carità di patria perché troppo riconoscibile. Bene, o hanno declinato l’offerta, dopo mesi di nicchiare, o manco hanno avuto il fegato di farlo e si sono dissolti in silenzio.

Cari Colleghi quanti di voi hanno vissuto la stessa mia esperienza? Perché non decidiamo di dirle queste cose? C’è un silenzio che è menzogna e che fa un gran male, non solo a noi, alle nostre aziende, ma anche alle nostre comunità. Anzi, perché non decidiamo di far uscire le nostre testate un giorno, tutti insieme, con un bel paginone dedicato a chi a deciso di dirci di no? Anche questa è informazione!

A questo proposito una parolina la direi al Ministro On. Mirko Tremaglia.
Ministro, Lei che è riuscito a portare 150 imprenditori italiani all’estero, a Roma, nel 2003, le cui aziende cubavano svariati miliardi di Euro di fatturato (i soli 30 che poi sono entrati nel Direttivo della Confederazione degli Imprenditori Italiani nel Mondo rappresentano aziende che esprimono oltre otto miliardi di euro di fatturato), Lei che nelle settimane scorse, sempre a Roma, ha riunito il meglio dei 65.000 ristoratori italiani nel mondo che con un miliardo di clienti fatturano oltre 27 miliardi di Euro, Lei che ha dato il Suo patrocinio a una S.r.l. che dovrebbe incrementare il fatturato turistico italiano con il turismo di ritorno, Lei che sempre ha riconosciuto il valore della stampa italiana all’estero, Lei che ha ottimi rapporti con gran parte dei grandi imprenditori italiani all’estero, ci direbbe per quale curioso motivo non ha mai lanciato uno dei Suoi appelli (pena le dimissioni, come fece in occasione di qualche finanziaria fa) a questi facoltosi amici perché la mano al suono dell’inno se la mettano sì sul cuore ma poi subito dopo sul taschino del portafogli e investano in pubblicità sui media italiani nel mondo?

Ministro, non crede che anche così si faccia il Ministro secondo quelle modalità appassionate e da outsider che Lei ha inaugurato?
Ne convengo, non sarebbe la soluzione, ma certo un bel segnale e cassa per le nostre testate. E chi Le dice che da quella che potrebbe sembrare (e non lo è) una penosa raccolta fondi, una chiamata alla solidarietà in nome dell’italianità, non nasca qualcosa di molto più importante: la strutturazione di un sano rapporto d’affari.

Io ne sono quasi certa: l’entrata in scena di un elemento di rottura quale l’investimento pubblicitario delle aziende sarebbe una scossa, determinerebbe la svolta. Gli editori acquisirebbero fiducia e avrebbero la liquidità necessaria per abbandonare i vecchi schemi, rinnovare le loro testate e aggredire il mercato, i giornalisti troverebbero la grinta della professionalità e della competizione.

Il fatto di dover fare i conti con un investitore pubblicitario che si sa chiederà ragione del suo investimento -investimento che non rinnoverà se non avrà fruttato ma che sarà pronto anche a raddoppiare se gli avrà procurato vendite- metterebbe le testate in condizioni di comportarsi come delle vere aziende, ovvero correre per essere qualitativamente adeguate al mercato, avere audience e dunque fare fatturato. Insomma: entreremmo nel circuito virtuoso.

Si è mai chiesto, Ministro, come è possibile che la stampa italiana all’estero debba elemosinare quattrini e sempre più spesso chiudere mentre la nostra imprenditoria italiana nel mondo, ovvero il suo primo bacino di potenziali Clienti, vale decine e decine di miliardi di Euro di fatturato? E si è mai chiesto quanto bene potrebbero fare alle nostre esportazioni, al nostro turismo, e perché no al peso specifico dello stivale sullo scenario politico internazionale, 700 testate (tante sono!) sparse in ogni angolo del mondo capaci di parlare, ma per davvero, non solo ai 4 milioni di italiani che vivono oltre frontiera, e non solo ai 65 milioni di italo-esteri, ma all’intera audience/mercato di consumatori Italy oriented?

E si è mai chiesto quanto, 700 testate dotate di parola anziché umiliate al silenzio dell’impotenza, farebbero bene alla dignità e allo sviluppo di quella comunità che Lei è chiamato a rappresentare?
Scusi Ministro, ma qualcuno queste cose gliele doveva pur chiedere, con rispetto e, mi consenta, affetto, ma fuori dai denti.

E tu Presidente De Sossi, ma che fai lì? Perché non provi a fare il Presidente sul serio, e invece di fare il becchino che ci accompagna al cimitero assicurandoci una buona morte non ci dai un poderoso calcio nel fondo schiena che ci faccia cambiare direzione di marcia e pelle … e testa? Perché non vai a fare il tuo mestiere di rappresentarci non nelle ovattate stanze della politica e della diplomazia ma nei corridoi dell’economia? Perché non ti sei mai dato da fare perché nascesse un movimento di pressione non per fare aumentare il maledetto contributo della legge sull’editoria (lo sai, vero, che con questo contributo si costringono dei poveri cristi a gonfiare le tirature giusto per beccare due quattrini in più e restare a galla?), bensì perché le aziende italiane e di origine italiana all’estero decidano di investire su quella editoria che ha contribuito e contribuisce a creare il clima culturale favorevole per i loro business?

E visto che ci siamo una parolina è bene dirla anche ai vari pensatori che hanno fatto dell’italianità e dell’italicità il loro cavallo di battaglia. Gente che ha preso il cavallo e l’ha messo tra le gambe di qualcun altro per poi farsi tronfi di ogni scalpitio della povera bestia.

Voi che tracciate la teoria dell’italicità nel mondo non ritenete sia venuta l’ora di sporcarvi le mani scendendo dall’olimpo degli idei all’arena dell’impresa per dimostrare all’economia quanto è vera, concreta, fattuale l’idea dell’italianità e dell’italicità, quale il suo valore in termini di business?! Non ritenete che sia venuta l’ora di dialogare con gli attori di questo mondo che voi vi limitate da lontano a teorizzare per aiutarli nel loro percorso di crescita a far fuori tutto quello che appartiene a una vecchia visione nella quale sono rimasti prigionieri?


Guardiamoci allo specchio

Ora, però dopo aver detto tutte le paroline del caso, perché è pur giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, dobbiamo tornare a guardarci allo specchio e farci un serio esame di coscienza. Se non riusciamo a intercettare il nostro mercato naturale, quello delle imprese di origine italiana all’estero (50.000 circa con un fatturato di svariati miliardi di Euro) e italiane che operano sui mercati all’estero (5.023 imprese italiane con partecipazioni in 14.104 imprese all’estero e 180.867 aziende italiane esportatrici), non sarà perché mai l’abbiamo seriamente, professionalmente cercato d’intercettare? non sarà che ci accostiamo con animo da accattoni (come si addice alla mentalità assistenzialistica) anziché da offerenti servizi? non sarà che i nostri mezzi sono deboli?

E’ indicativo il fatto che quando, nel lontano 1996, per la prima volta, dalla Conferenza Mondiale per una Politica dell’Informazione Italiana all’Estero di Milano, abbiamo guardato alla pubblicità, abbiamo messo gli occhi sulla pubblicità istituzionale, richiedendo allo Stato di stanziare “una riserva del 10% della pubblicità istituzionale”.

Richiesta che ho sostenuto e difeso a spada tratta in svariate occasioni, ma una richiesta che è stata al contempo una ammissione e una rinuncia. Abbiamo ammesso che le nostre testate possono permettersi di pensare di accedere solo alla pubblicità istituzionale, e a una pubblicità istituzionale erogata d’ufficio, ovvero niente di più e niente di meno di un contributo a fondo perduto. Non ci siamo nemmeno sognati di chiedere, per esempio, di essere sostenuti per progettare un accesso al mercato, attività di promozione per far conoscere le potenzialità dei nostri mezzi, strumenti e occasioni per potenziare i nostri mezzi presso l’audience di riferimento. Non abbiamo chiesto nulla di quello che chiederebbe un imprenditore, né con le modalità di un imprenditore. Abbiamo rinunciato alla conquista dell’audience, anzi abbiamo praticamente ammesso di non avere audience, e abbiamo rinunciato al mercato.


Torniamo a Catania

Con lo spirito di chi le battaglie le fa dall’interno, caro Presidente, ti voglio proporre una mia lista della spesa. Non mi voglio occupare dei grandi obiettivi, no, perché il fatto di proporli darebbe un alibi a chi non vuole risolvere i piccoli grandi problemi di fondo. E questi piccoli grandi problemi sono pregiudiziali ai grandi temi.

1° Avvio di uno studio per la definizione (entro 3 mesi) di un regolamento interno FUSIE contro i conflitti d’interesse e immediata soluzione delle situazioni che allo stato attuale si evidenziano come (al minimo) un palese conflitto d’interesse, ovvero questione Pubblifusie S.r.l. e Segreteria FUSIE

2° Definizione dell’identità di associazione di categoria della FUSIE. Si tratta di una Associazione di categoria degli editori o dei giornalisti? Al momento l’ambiguità regna sovrana. Nessuna Associazione può rappresentare due categorie di soggetti con interessi in antitesi.

3° Autonomia finanziaria della FUSIE, bilancio previsionale, nomina di un professionista per l’incarico di Direttore che venga dal mondo dei managers delle Associazioni di categoria (se lo Statuto non lo prevede si dovrà avviare un percorso perché lo preveda, nessuna associazione di categoria degna di questo nome si può permettere di fare a meno di un professionista che la guidi)

4° Definizione del rapporto FUSIE con le Associazioni di categoria degli editori italiani in Italia, i Sindacati dei giornalisti in Italia, l’Ordine dei Giornalisti italiano.

Se questi 4 obiettivi minimi non si raggiungono, caro Presidente, la FUSIE resterà quella che è ora, un club di amici che all’interno giocano a fare i Presidenti, i Segretari, i Consiglieri esclusivamente per meglio difendere i propri interessi e per poter avere un incarico in più sul biglietto da visita, e autorizzerà coloro che la pensano come me a volerci vedere chiaro su quanto gli interessi dei soci dei club possano nuocere agli interessi di coloro che non stanno nel club. Ma quel che è peggio l’editoria italiana all’estero avrà rischiato di perdere anche l’ultimo treno.

Caro Presidente, sia chiaro, non metto in dubbio la tua onestà intellettuale, è certo però che in certi casi non basta essere corretti, bisogna anche apparirlo, non dare adito al ragionevole dubbio che possa essere il contrario.

Mi farà piacere se Tu e i Colleghi editori e giornalisti vorrete dirmi cosa pensate delle cose che ho sentito il dovere di dire. Aggiungo che posso capire che i miei toni possano sembrare distruttivi, credimi, non lo sono, sono solo VERI. Ho pensato settimane prima di chiudere queste pagine perché so bene che potrebbero far del male, alla fine mi sono decisa a chiudere perché ritengo che comunque la verità per quanto male possa fare alla fine è costruttrice di bene e di un nuovo che non può che essere positivo.

Maria Margherita Peracchino
Direttore News ITALIA PRESS






 
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