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23 lug 2004IL PARERE DI FRANCO SANTELLOCCO / AIDS E SVILUPPO: L’OSTACOLO PIÙ GRANDE

ROMA - L’Occidente ha acquistato, grazie ad una storia fatta di continuo progresso, il grandissimo privilegio e la grandissima responsabilità di influenzare con le sue scelte la storia ed il futuro del mondo intero. E’ un pesante fardello, quel “fardello dell’uomo bianco” di cui già Kipling parlava nella poesia omonima, nel secolo scorso. E’ un dato di fatto di cui dobbiamo prendere piena cognizione, agendo di conseguenza, altrimenti il destino di dolore, malattia e morte che affligge buona parte dei nostri simili sarà sempre un’onta, una macchia indelebile sulla presunta “civiltà” del nostro sistema di vita privilegiato.

Abbiamo la forza ed i mezzi per vincere le battaglie in cui decidiamo di impegnarci. L’Iraq è finalmente in mano ad un Governo democratico, piuttosto che ai capricci di un dittatore sanguinario. Lo stesso vediamo in Liberia, dove gli anni del terrore e della miseria portati dal “signore della guerra” Charles Taylor sono finiti, grazie al provvidenziale intervento di Washington e dell’intero mondo occidentale, in un Paese che finalmente sta ricostruendo un futuro migliore. Anche nella lotta al fondamentalismo si cominciano a raccogliere i frutti di un intervento serio ed efficace: le forze moderate cominciano a prevalere in ogni parte del mondo, nonostante l’intensificarsi degli attentati terroristici: come esempio su tutti, è di questi giorni la notizia che il Presidente egiziano Mubarak reintrodurrà lo studio della religione Cristiana nelle scuole pubbliche.

Uno scenario confortante, dunque? Niente affatto. Perché il divario economico tra Nord e Sud del mondo continua a crescere, con un esercito di poveri che aumenta ogni giorno di più. Con esso, si espande come un incendio la pandemia di Aids, che sta letteralmente distruggendo l’Africa e che ora colpisce sempre più preoccupantemente anche in Russia e Cina.

Nello scenario attuale, ben evidenziato dalla Conferenza Internazionale sull’Aids svoltasi a Bangkok, appaiono più che mai profetiche le parole del professor Joshua Lederberg: “L’unico ostacolo rimasto all’incontrastato dominio dell’uomo su questo pianeta sono i virus”.

Sono parole che dovrebbero indurci a riflettere, a cercare soluzioni nuove per un dramma che coinvolge ormai buona parte del mondo e che sta facendo sprofondare un intero Continente. La durata della vita media in molti Paesi africani è in caduta libera a causa dell’epidemia: nello Zambia è crollata a 32 anni, e Zimbabwe e Sudafrica non stanno meglio, come emerge dal Rapporto 2004 di UNDP, il Dipartimento dell’ONU per lo sviluppo. Ben tredici Paesi africani hanno ricevuto un contraccolpo drammatico in termini di sviluppo umano dagli anni ’90, a causa della propagazione dell’Hiv.

A fronte di questo dramma di sottosviluppo e miseria, e dell’inarrestabile marcia di un morbo mortale il cui impatto è ancor più catastrofico a causa del fatto che miete vittime soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione, dobbiamo chiederci: cosa possiamo fare? Ma soprattutto: cosa stiamo facendo? La risposta sta nel silenzio che troppo spesso circonda questa tragedia quotidiana.
Stiamo combattendo, si può dire con un certo successo, tante battaglie per la civiltà, i diritti umani, l’integrazione e la lotta all’estremismo. Eppure continuiamo ad essere ottusamente ciechi davanti alla minaccia più grave, quella che rischia di distruggerci.

La cooperazione internazionale viaggia intorno allo 0,2 per cento del prodotto interno dei Paesi più ricchi. Doveva essere inizialmente l’un per cento, poi lo 0,7, quindi ci si era impegnati per uno 0,35. Oggi è tendenziale 0. Ed è una vergogna che non va taciuta.

Quel mondo che ha avuto la forza e la capacità di mobilitarsi, giustamente, contro l’incubo del terrorismo internazionale, sembra non essere interessato ad un pari impegno contro le più distruttive e pericolose armi in circolazione: povertà ed Aids. E’, a grandi linee, quanto ribadito da Kofi Annan a Bangkok: un’affermazione dura da digerire, ma che purtroppo è semplicemente, drammaticamente vera.

I 4/5 degli oltre trenta milioni di persone malate di Hiv si trovano in Africa. Se qualcosa non cambia, diventeranno cinquanta milioni entro il 2010. L’affermazione di Kofi Annan è solo la ripetizione di quanto ogni persona coscienziosa dovrebbe già conoscere: è un Continente che muore nell’indifferenza generale. Il fatto che stiano sparendo maestri, tecnici, madri, giovani, agricoltori da ogni angolo dell’Africa e da altre zone la cui unica colpa è di essere “non strategiche” per solleticare il nostro interesse, e che con essi stiano morendo il futuro, lo sviluppo, l’educazione, evidentemente non interessa molto.

In questo quadro, tutto quello che è stato fatto finora, e non è poco, unitamente ai grandi progetti ed ai discorsi incoraggianti rischia di non avere alcun significato. Perché, a prescindere da ogni battaglia vinta, se perdiamo la guerra contro fame ed Aids avremo perso tutto. Anche la dignità. La prevenzione non basta più: occorrono finanziamenti a livello mondiale per terapie complete, per l’accesso gratuito ai farmaci essenziali nel Sud del mondo, per consentire l’accesso all’acqua potabile a chi nel 2004 ancora muore di acqua inquinata. E questi finanziamenti vanno gestiti in maniera oculata ed efficace, senza regalarli ad Enti e Governi che non sanno neanche da che parte iniziare, o forse lo sanno troppo, e che non fanno altro che sprecare il denaro dei contribuenti.

Serve prudenza ed intelligenza, che non significa rimandare ancora a domani quello che avremmo dovuto fare ieri: modelli efficaci esistono. Ma non funzionano se non c’è impegno e volontà.





 
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