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13 dic 2003LE OSSERVAZIONI DI BRUNO ZORATTO / Il CGIE in crisi: doverosa autocritica Verso

ROMA Durante l’ultima sessione del CGIE qualche Sinistra sprovveduta si è lamentata per non essere stata informata in tempo dell’avvenuta registrazione della trasmissione di “Porta a Porta”, riservata alla emigrazione italiana ed in particolare alla tragedia mineraria di Mar­cinelle.
Con il settarismo di sempre, la “signora” in questione pretendeva che anche fra il pubblico invitato ci fosse quella par condicio che ci si auspica nella campagna elettorale. Invece di essere contenta di questa ulteriore iniziativa di “informazione di ritorno” sulla storia dimenticata della emigrazione italiana, la compagna consigliere del CGIE sbuffava ed inveiva contro la serata che metteva al centro dell’attenzione pubblica italiana una tragedia sommersa della nostra emigrazione.

Qualcuno più intelligente, della stessa parrocchia, ha fatto notare all’esa­gitata compagna d’oltremare che nei lustri di potere del Centro-Sinistra, il signor Fassino, la signora Toia o il Danieli di turno (se ne avessero avuto la capacità) avrebbero potuto svolgere quel ruolo centrale di propulsione che essi invidiano ora al Ministro degli Italiani nel Mondo.
Perché, aggiungiamo noi, durante l’era Santoro i compagnuzzi inviperiti non hanno fatto quello che ora è stato possibile con Vespa, alla presenza di Tremaglia e Bertinotti?

Perché, durante la loro gestione politica, l’8 agosto non è stato proclamato come “Giornata del sacrificio e del lavoro italiano nel mondo”?
Perché durante i loro governi non hanno realizzato quel francobollo che è stato proprio presentato a Marcinelle l’8 agosto 2001?
Tutte piccole cose, ma significative ed importanti per chi crede nella politica pulita e disinteressata, soprattutto in considerazione dell’immobilismo perpetuo delle vicissitudini che hanno caratterizzato la politica degli italiani nel mondo nell’ultimo quarantennio. Come non possiamo che stupirci nell’ascoltare alcuni giudizi dei “corvi capitolini” sul Ministro per gli Italiani nel Mondo, per poi scoprire che gli stessi hanno sollecitato “privatamente” al Ministro il patrocinio o il messaggio di circostanza, indispensabile e necessario per presentarsi, per essere credibili, per farsi ascoltare?

Ho voluto iniziare con queste “disordinate osservazioni” il mio lungo ragionamento sullo stato di salute del CGIE per far capire agli amici e ai cortesi avversari che se vogliamo un Consiglio al servizio della gente che vive ed opera nelle nostre comunità, bisogna estirpare la “malapianta” del settarismo partitocratico che sta soffocando questa importante istituzione di partecipazione democratica delle nostre comunità emigrate.
Ritorniamo al nostro ragionamento sul CGIE e cerchiamo pacatamente di fare alcune doverose considerazioni:

Quanto costa - si è chiesto recentemente qualcuno in Svizzera - all’erario italiano il Consiglio Generale degli Italiani nel Mondo, denominato CGIE?
Cosa produce questa istituzione pubblica, che per legge dovrebbe essere di supporto politico al Parlamento e al Governo, per avanzare concrete proposte praticabili tendenti a risolvere i tanti problemi della nostra emigrazione?
Concretamente parlando, il bilancio annuo del CGIE degli anni passati era di 3 miliardi e 300 milioni di lire; con il “vituperato” governo di Centro-Destra lo stesso bilancio supera annualmente i 4 miliardi di vecchie lire, precisamente 2.014.182 euro.

Non esageriamo quindi nell’affermare che il CGIE è costato, e costa, sempre all’erario italiano, decine di miliardi per ogni legislatura, per mantenere in vita un organismo che dovrebbe rappresentare, dovrebbe formulare, dovrebbe trovare nella diversità quella sintesi politica capace di imporre al Parlamento ed al Governo quella volontà politica necessaria per superare gli ostacoli e risolvere, ripetiamolo, risolvere i problemi. Se però ci giriamo intorno e indietro dando un’occhiata al lavoro svolto dal CGIE, purtroppo siamo costretti a dover fare un mea culpa, e quindi, una dura e profonda critica al nostro operato.

Basti ricordare che fra gli obblighi politici istituzionali dettati dalla legge istitutiva del CGIE vi è quello della stesura di una “Relazione annuale con proiezione triennale” da presentare, tramite il Governo, in Parlamento, affinché il massimo istituto politico della Repubblica venga aggiornato sui problemi, sulle questioni aperte e sulle iniziative legislative da prendere. Oltre a questa relazione, vi è anche l’obbligo dei “Rapporti annuali continentali” sullo stato d’integrazione delle nostre collettività, rapporti che sino ad oggi non sono mai stati presentati, tramite il Governo, alle Commissioni parlamentari interessate e, quindi, al Parlamento.

Ebbene, nonostante il CGIE esista dal 1991, soltanto nel 1998, durante l’era Fassino, il CGIE riuscì a presentare la prima, anche se incompleta, “Relazione annuale con proiezione triennale”, mentre in Parlamento dovrebbero essere una decina le relazioni che il CGIE obbligatoriamente avrebbe dovuto presentare per adempiere a quella che è la sua massima funzione istituzionale e politica, scritta a chiare lettere nella legge istitutiva n. 368 del 6 novembre 1989, che la maggioranza dei consiglieri fa finta di ignorare.

Perché, ai richiami e ai pressanti solleciti della Segreteria Generale della Camera dei Deputati di svolgere il proprio ruolo istituzionale, né il Segretario Generale del CGIE, né il Comitato di Presidenza, tanto attento alle iniziative altrui, non hanno saputo, o voluto, dare sino ad oggi una concreta risposta?
Perché ad esempio i “solerti” consiglieri del CGIE che hanno sottoscritto (per poi subito smentire) il cosiddetto “proclama di lamento” alla vigilia del Convegno sugli imprenditori italiani all’estero, non si sono invece preoccupati di questa grave inadempienza che è sotto gli occhi di tutti, “corvi romani” compresi?
Perché i consiglieri del CGIE pretendono di avere titolo per essere invitati ad ogni iniziativa, compresa quella degli imprenditori, anche quando ricoprono una funzione diversa, essendo gran parte di essi, legittimamente, operatori di Patronato, di Sindacato, di Partito, o rappresentanti di “Enti gestori”, che esistono grazie ai lauti contributi statali che anche il Governo di Centro-Destra continua abbondantemente ad elargire?

Perché, oltre al solito blaterare, il CGIE non ha saputo avanzare riflessioni adeguate, dopo che il Ministro aveva inserito nel Comitato organizzatore della Conferenza sugli imprenditori Franco Narducci, che ha partecipato, e parlato, come nella Conferenza degli scienziati?
Perché il Segretario Generale del CGIE -che era nel Comitato organizzatore del Convegno degli imprenditori- non ha proposto una lista di imprenditori, frutto delle indicazioni di tutti i consiglieri, evitando di lasciare al Ministro il compito di estendere l’invito ai 16 membri del Comitato di Presidenza (CdP), che ricevevano tutti il relativo biglietto aereo, e venivano trattati come dei “piccoli Leonardo”?

Perché né il Segretario Generale del CGIE, né il Comitato di Presidenza hanno mosso un dito per far si che al 2º piano della Farnesina vi fossero le 8 persone in forza alla Segreteria Generale del CGIE, come prescritto dalla legge, che attualmente è barcollante e precaria, perché composta solo di 3 o 4 persone, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti?

Perché il CGIE, dopo che il Consiglio aveva all’unanimità deciso di invitare permanentemente alla riunione del Comitato di Presidenza anche i presidenti delle sei Commissioni, ha poi lasciato tutto cadere nel dimenticatoio, grazie alle pressioni scomposte di qualche “tali­bano” di turno, come se i presidenti non fossero parte integrante e proponente del CGIE?

Perché il Comitato di Presidenza non ha battuto ciglio quando, da un’importante area continentale, è stata lamentata (da parte dell’ambasciata e della comunità) l’assenza annua di un Vices­egretario, essendo egli per ben 12 mesi occupato in Africa nel settore del volontariato?

Perché il CGIE ha imposto il proprio parere di giudizio (non vincolante), a tutte le testate che si pubblicano all’estero, anche a quelle che ricevono quattro soldi, senza accogliere la sensata proposta che il parere sarebbe stato giustificato solo per quelle testate il cui finanziamento pubblico copre il 40 o il 50 per cento delle spese globali della stessa impresa editoriale?

Se andiamo poi a radiografare la composizione “professionale”, e non quella politica, dei 94 componenti del CGIE troviamo purtroppo in essi alcuni preoccupanti sintomi di una sindrome che ci indirizzano concretamente al fallimento di un istituto importante in cui tutti noi abbiamo creduto profondamente, e che i tentacoli della partitocrazia più becera, deleteria ed interessata stanno affossando, con un Comitato di Presidenza talvolta complice, che non si riunisce per dare corso ed attuare le indicazioni del Consiglio come prescritto dalla legge, ma ripropone regolarmente ad ogni sua riunione in miniatura le discussioni chilometriche, talvolta laceranti ed inutili, delle sessioni provocate dal consigliere di turno interessato.

Come si può pretendere, politicamente parlando, di voler imporre un testo di proposta di legge discutendo persino l’articolato che contiene principi e concetti legati esclusivamente ad alcune questioni personali e locali come quella eclatante, e vergognosa, riguardante la “castratura premeditata”, cioè la diminuzione dei membri nei Comites delle grandi circoscrizioni consolari?

È stata infatti la maggioranza di Centro-Sinistra del CGIE (contro il voto mio e di pochi altri amici) ad imporre nella famigerata bozza, diventata legge, che nelle grandi circoscrizioni i componenti dei Comites passassero da 24 a 18. Quando nella legge istitutiva del CGIE si sancisce il marchingegno del parere obbligatorio, ma non vincolante, come ci si può illudere di obbligare un Parlamento sovrano, ripeto un Parlamento sovrano, ad accogliere un articolato di legge, come se lo stesso fosse incapace di “intendere e volere”, cioè di legiferare?

Ci sono consiglieri del CGIE che “dormono” profondamente in qualche angolo sperduto della sala, ma che non fanno danno (e qui ricordo con affetto l’amico Boscariol di Van­couver); ci sono però anche consiglieri, “rappresentanti” legali di enti gestori, che non hanno mai aperto bocca nella plenaria (e qui ne sa qualcosa il compagno Fedi), che si sono però distinti nell’articolare in commissione e nei meandri ministeriali quel lavoro di lobby per il proprio “ente gestore”.
Ma se uno è occupato a svolgere la funzione, pur legittima, di lobbista, come può pretendere di essere un rappresentante autentico ed un attento osservatore delle cose che si muovono attorno al settore degli italiani nel mondo da quando il Governo di Centro-Destra ha posto al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica italiana la politica degli italiani all’estero, la questione della nostra emigrazione, in modo nuovo e convincente di fare politica in questo settore, nominando, non a caso, anche un Pezzo da novanta quale Ministro per gli Italiani nel Mondo?

Perché non si vuole riconoscere che, nonostante tutto, la visibilità sui media italiani è aumentata vertiginosamente (vedi ad esempio le ricadute che lo sceneggiato televisivo su Marcinelle ha provocato) grazie alle iniziative precise ed insistenti del Ministro per gli Italiani nel Mondo?
Perché si ha paura di riconoscere che l’intervento del Ministro in questione ha determinato il cambiamento di rotta del governo di Centro-Destra in Australia, che permetterà a marzo del prossimo anno per la prima volta le elezioni dirette dei Comites in quel Paese?
Perché non dare atto allo stesso Ministro di essere riuscito, nonostante tutto, in un clima di tagli generali, a far firmare quel decreto tanto atteso che riconoscerà agli indigenti settantenni residenti all’estero quel minimo pensionistico mensile di un milione di lire?
Perché non riconoscere il non facile tentativo di Tremaglia di riunire ad uno stesso tavolo le regioni italiane per interagire insieme in favore delle emergenze nei Paesi latino-americani che, né parte della diplomazia italiana, né le regioni hanno voluto coronare concretamente di successo?
Perché non dare atto allo stesso Ministro di aver costituito un Osservatorio, coinvolgendo le varie amministrazioni ministeriali, sul rispetto dei diritti per i nostri connazionali in Europa, nei Paesi dell’UE, un Osservatorio che vigili e segua quelle situazioni talvolta complicate, affinché vengano rispettate le norme comunitarie che riguardano le espulsioni, la negazione dei soggiorni, l’integrazione scolastica e la soluzione dei numerosi contenziosi sui bambini contesi?

Perché dare retta (vedi ultimo verbale del CdP del CGIE) a chi perde tempo a chiedere il grado di coinvolgimento del CGIE nel viaggio di un Ministro della Repubblica in un Paese latino-americano, senza mai ricordare subdolamente che quando gli on.li Fassino, Toia e Danieli giravano il mondo, il CGIE veniva sempre a saperlo a cose fatte?

Perché, dopo aver letto le competenze contenute nelle Deleghe del nuovo Ministro, e dopo che lo stesso Ministro ha dichiarato di essere il Ministro del CGIE, il CGIE non ha solidarizzato, facendo propria questa logica esternazione e proponendo la modifica alla legge per far si che il Presidente del CGIE fosse il nuovo Ministro degli Italiani nel Mondo? Una proposta sensata, in simbiosi naturale con il CGIE, che avrebbe dato credibilità a noi, peso all’emigrazione, forza al Consiglio ed autorevolezza ai singoli consiglieri? Invece il CGIE, temporeggiando, ha lasciato incautamente che il Ministro “proponesse” l’uscita dell’Esecutivo dalla Presidenza del CGIE, mettendo il Consiglio fuori gioco.

Troppo difficile la scelta di alternativa, troppo complicato proporre un’iniziativa legislativa in merito che avrebbe impegnato tutti, cambiato volto e che avrebbe visto il Ministro per gli Italiani nel Mondo naturale Presidente del CGIE. Nulla di tutto ciò: in un verbale del Comitato di Presidenza si leggono al riguardo persino tre proposte alternative, che sono state subito cestinate dal buon senso, facendo fare alla gerenza CGIE la figura morotea di chi non sa mai prendere posizione.
Ma, chiediamocelo onestamente, di chi è la colpa, se ormai stiamo toccando il fondo? È colpa del Segretario Generale (che io non ho votato, ma che il Centro-Sinistra ha imposto, illudendo perfino alcuni amici della stessa parrocchia) o dell’assalto alla dirigenza intrapreso da pochi “utili idioti” che, usando qualche “talibano” di turno, stanno remando contro l’emigrazione, distribuendo anticipatamente ai tanti affannati neo­fiti della “politica in emigrazione” ipotetiche candidature in vista delle elezioni del 2006?

Se qualcuno vuole essere coinvolto deve avere titolo, non può pretendere di imporre la logica dei “compianti collettivi” di cattiva memoria, anche perché gli amici in questione sanno che il muro di Berlino è cascato da oltre un decennio, e non si può continuare a fare politica d’emigrazione con una logica di contrapposizioni ideologiche ormai superate e sepolte dai tempi e dalla crescita democratica della gente che vive ed opera all’estero.
Anche se la conferenza continentale dell’Europa e Nord Africa si è agitata parecchio in tal senso, il CGIE, nella sua globale composizione, non si è mosso in tempo ed adeguatamente prima della conclusione della Convenzione europea, presieduta da Giscard d’Estaing, per sollecitare una attenzione maggiore alle questioni sociali e ai diritti, troppo spesso calpestati in alcuni grandi Paesi comunitari, ed ignorati dal Parlamento Europeo? Va anche dato atto che qualche Vice Segretario continentale, senza successo, ha tentato in tutti i modi di coinvolgere l’intero CGIE ad una vigilia importante come quella della Convenzione, purtroppo senza successo.

Perché il CGIE ha rinunciato a presentarsi parte civile al processo in corso al Tribunale penale di Roma a seguito di un esposto, fatto dal sottoscritto, su una “truffa in atto” che ha determinato la sospensione di un alto funzionario del Ministero del Lavoro occupato nel Dipartimento che si interessava dei finanziamenti per la formazione professionale rivolta alla nostre collettività nei Paesi extracomunitari?

Perché il CGIE non ha protestato per il mancato coinvolgimento in iniziative organizzate dalla Farnesina e rivolte anche agli italiani che risiedono all’estero, come la III. Giornata mondiale della lingua italiana all’estero, che coinvolge una pletora infinita di sinistri professori, che le nostre collettività criticano aspramente per il loro operato, oltre che per i costi?

Perché si tollera che i “Masaniello” di turno del Comitato di Presidenza vengano lasciati alle loro scorribande ed alle loro mirate filippiche contro quei pochi Enti gestori che fanno bene il loro lavoro istituzionale, ma che fungono da alibi per proteggere coloro che arraffano fior di miliardi con la scusa di organizzare un intervento scolastico che non fanno, dal momento che non riescono neanche in carcere (come ad esempio avviene in Germania) a raccattare gli alunni che la legge prescrive per il riconoscimento, e quindi il finanziamento dei corsi?

Tutti “perché”, questi, che non hanno alcuna risposta, ma che confermano il profondo disagio dettato dalla crisi in cui versa il CGIE, che deve preoccupare tutti e che non può certamente essere sot­taciuta o ignorata, anche perché alla base del mio pacato ragionamento vi è un CGIE che costa all’erario italiano svariati miliardi che non possono essere continuati ad essere spesi se esso è inadempiente, se esso non svolge il ruolo fissato dalla legge.

Che fare quindi per voltare pagina e concludere questa irripetibile stagione? Personalmente sono convinto che bisogna restituire il CGIE all’emigrazione, cioè alle nostre comunità, ridandogli centralità; bisogna isolare i “talebani” delle varie tribù; bisogna instaurare quel clima di rispetto e di confronto che i “corvi romani”, con la complicità di qualche parte interessata, sono riusciti ad affossare, come hanno distrutto quel clima di unitarietà politica vincente, che tanto fastidio ha dato ai Danieli di turno.

Bisogna riformare radicalmente la legge. Ma la legge come deve essere riformata, se fra non molto avremo anche i Parlamentari che rappresenteranno legittimamente le nostre collettività?

Io sono dell’avviso che nel CGIE rifondato e rimodellato bisogna far entrare più società civile italiana all’estero, più categorie e più rappresentanze reali, ed eliminare i rappresentanti di quei “meandri capitolini” che funzionano da lobby e che hanno sempre remato contro i nostri emigrati.
Il CGIE, per continuare ad esistere, deve iniziare ad assomigliare di più ad un organo ausiliario dello Stato che all’attuale gabbia impazzita, in cui i “corvi” spadroneggiano a danno di tutta la nostra emigrazione. Su questo terreno dobbiamo muoverci, se non vogliamo sprofondare in un lento ed inevitabile declino.

Bruno Zoratto







 
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